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nel tal altro: risponde ogni volta di no, rapportandosi
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Alessandro Manzoni - La storia della Colonna Infame
sempre alla sua prima risposta. Vengono alle persone, e
ai luoghi. Se aveva conosciuto un Fontana bombardiere:
era il suocero del Vedano, e il Baruello l aveva nominato
come uno di quelli che s eran trovati al primo abbocca-
mento. Risponde di sì. Se conosceva il Vedano: di sì
ugualmente. Se sa dove sia la Vetra de Cittadini e l oste-
ria de sei ladri: era lì che il Mora aveva detto esser venu-
to il Padilla, condotto da don Pietro di Saragozza, a far-
gli la proposta d avvelenar Milano. Rispose che non
conosceva né la strada, né l osteria, neppur di nome. Gli
domandano di don Pietro di Saragozza: questo non solo
non lo conosceva, ma era impossibile che lo conoscesse.
Gli domandano di certi due, vestiti alla francese; d un
cert altro, vestito da prete: gente che il Baruello aveva
detto esser venuti col Padilla all abboccamento sulla
piazza del castello. Non sa di chi gli si parli.
Nel secondo esame, che fu l ultimo di gennaio, gli do-
mandan del Mora, del Migliavacca, del Baruello, d ab-
boccamenti avuti con loro, di danari dati, di promesse
fatte; ma senza parlargli ancora della trama a cui tutto
questo si riferiva. Risponde che non ha mai avuto che
far con costoro, che non gli ha mai nemmen sentiti no-
minare; replica che non era a Milano in que diversi tem-
pi.
Dopo più di tre mesi, consumati in ricerche dalle
quali, come doveva essere, non si cavò il minimo co-
strutto, il senato decretò che il Padilla fosse costituito
reo con la narrativa del fatto, pubblicatogli il processo, e
datogli un termine alle difese. In esecuzione di quest or-
dine, fu chiamato ad un nuovo ed ultimo esame, il 22 di
maggio. Dopo varie domande espresse, su tutti i capi
d accusa, alle quali rispose sempre un no, e per lo più
asciutto, vennero alla narrativa del fatto, cioè gli spiat-
tellarono quella pazza novella, anzi quelle due. La pri-
ma, che lui costituto aveva detto al barbiere Mora, vici-
no all hostaria detta delli sei ladri, che facesse un
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Alessandro Manzoni - La storia della Colonna Infame
ontione... et che dovesse prender la detta ontione, et an-
dar a bordegare (impiastrare); e che, in ricompensa, gli
aveva dato molte doppie; e don Pietro di Saragozza, per
suo ordine, aveva poi mandato il detto barbiere a risco-
tere altri danari dai tali e tali banchieri. Ma questa è ra-
gionevole in paragon dell altra: che esso Sig. Constituto
aveva fatto chiamar sulla piazza del castello Stefano Ba-
ruello, gli aveva detto: buon giorno, Sig. Baruello; è mol-
to tempo che desideravo parlar con voi; e, dopo qualche
altro complimento, gli aveva dato venticinque ducatoni
veneziani, e un vaso d unguento, dicendogli ch era di
quello che si faceva in Milano, ma che non era perfetto,
e bisognava prendere delli ghezzi et zatti (de ramarri e
de rospi) et del vino bianco, e metter tutto in una pento-
la, et farla bollire a concio a concio (adagino adagino), ac-
ciò questi animali possino morire arrabbiati. Che un pre-
te, qual viene nominato per Francese dal detto Baruello, e
era venuto in compagnia del costituto, aveva fatto com-
parire uno in forma d huomo, in habito di Pantalone, e
fattolo al Baruello riconoscere per suo signore; e, scom-
parso che fu, il Baruello aveva domandato al costituto
chi era colui, e quello gli aveva risposto ch era il diavolo;
e che, un altra volta, lui costituto aveva dati al Baruello
degli altri danari, e promessogli di farlo tenente della
sua compagnia, se l avesse servito bene.
A questo punto, il Verri (tanto un intento sistematico
può far travedere anche i più nobili ingegni, e anche do-
po che hanno veduto) conclude così: «Tale è la serie del
fatto deposto contro il figlio del castellano, la quale, seb-
bene smentita da tutte le altre persone esaminate (tratti-
ne i tre disgraziati Mora, Piazza e Baruello, che alla vio-
lenza della tortura sacrificarono ogni verità), servì di
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base a un vergognosissimo reato.» Ora, il lettore sa, e il
Verri medesimo racconta che, di questi tre, due furon
mossi a mentire dalle lusinghe dell impunità, non dalla
violenza della tortura.
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Sentita quell indegnissima filastrocca, il Padilla disse:
di tutti questi huomini che V.S. mi ha nominato, io non
conosco altro che il Fontana et il Tegnone (era un sopran-
nome del Vedano); et tutto quello che V.S. ha detto che si
legge in Processo per bocca di costoro, è la maggior falsità
et mentita che si trouasse mai al mondo; né è da credere
che un Cavagliero par mio hauesse, né trattato, né pensato
attione tanto infame come è questa; et prego Dio et sua
Santa Madre, se queste cose sono vere, che mi confondano
adesso; et spero in Dio che farò conoscere la falsità di que-
sti huomini, et che sarà palese al mondo tutto.
Gli replicarono, per formalità e senza insistenza, che
si risolvesse di dir la verità; e gl intimarono il decreto del
senato che lo costituiva reo d aver composto e distribui-
to unguento venefico, e assoldato de complici. Io mi
meraviglio molto, riprese, che il Senato sij venuto a reso-
luttione così grande, vedendosi et trouandosi che questa è
una mera impostura et falsità, fatta non solo a me, ma alla
Giustitia istessa. Come! un huomo di mia qualità, che ho
speso la vita in seruitio di Sua Maestà, in diffesa di questo
stato, nato da huomini che hanno fatto l istesso, haueuo
io da fare, né da pensar cosa che a loro, né a me portasse
tanta nota et infamia? et torno a dire che questo è falso, et
è la più grande impostura che ad huomo sij mai stata fatta.
Fa piacere il sentir l innocenza sdegnata parlare un tal
linguaggio; ma fa orrore il rammentarsi l innocenza, da-
vanti a quegli uomini stessi, spaventata, confusa, dispe-
rata, bugiarda, calunniatrice; l innocenza imperterrita,
costante, veridica, e condannata ugualmente.
Il Padilla fu assolto, non si sa quando per l appunto,
ma sicuramente più d un anno dopo, poiché l ultime sue
difese furono presentate nel maggio del 1632. E, certo,
l assolverlo non fu grazia; ma i giudici, s avvidero che,
con questo, dichiaravano essi medesimi ingiuste tutte le
loro condanne? giacché non crederei che ce ne siano
state altre, dopo quell assoluzione. Riconoscendo che il
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Alessandro Manzoni - La storia della Colonna Infame
Padilla non aveva punto dato danari per pagar le sogna-
te unzioni, si rammentaron degli uomini che avevan
condannati per aver ricevuto danari da lui, per questo
motivo? Si rammentarono d aver detto al Mora che una
tal cagione ha più del verisimile... che non è per hauer oc-
casione di vendere, lui Constituto il suo elettuario, et il
Commissario d hauer modo di più lavorare? Si rammen-
tarono che, nell esame seguente, persistendo lui a negar-
la, gli avevan detto che si troua pure essere la verità? Che
avendola negata ancora, nel confronto col Piazza, gli
avevan data la tortura, perché la confessasse, e un altra
tortura, perché la confessione estorta dalla prima diven-
tasse valida? Che, d allora in poi, tutto il processo era
camminato su quella supposizione? Ch era stata espres-
sa, sottintesa in tutte le loro interrogazioni, confermata
in tutte le risposte, come la cagione finalmente scoperta
e riconosciuta, come la vera, l unica cagion del delitto
del Piazza, del Mora, e poi degli altri condannati? Che la
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